martedì 24 luglio 2012

Del mondo sensoriale dei ratti

E' da tanto tempo che non posto più niente, e il racconto è rimasto un po' in sospeso, lo ammetto. Poi riprenderò il filo, prometto. Oggi posto alcune considerazioni sul mondo sensoriale dei ratti.

I "nonni" sono venuti a trovare per la prima volta i "bimbi". Ancora una volta Ginger e Pepper hanno confuso un po' gli astanti con la loro verve; e per confuso intendo che capita spesso che dopo qualche tempo passato con dei ratti uno faccia fatica a ricordarsi cosa è normale o non è normale aspettarsi da un animale (parola che in questo post, in via del tutto eccezionale e con un certo antispecista disagio interiore, userò intendendo qualsiasi animale escluso l'uomo).

Comunque, dicevo, confusione circa cosa è lecito aspettarsi da un animale. E' capitato anche a me. Per esempio una sera mi stavo lavando i denti ripensando alla scena che avevo visto cinque minuti prima, con protagonisti E. e Ginger, e a un certo punto mi sono detto: "ehi, aspetta, ma è normale che un animale venga a controllare cosa stai guardando sull'iPhone?"

Invece la confusione applicata al nonno lo ha portato a chiedere: "gli avete mai fatto vedere Ratatouille?"

Ehm. Fare vedere un film a un animale?

In effetti è un po' troppo. Ma al di là che non seguirebbero la trama, c'è un altro motivo per cui non ha senso far vedere Ratatouille ai bimbi. Per arrivare al punto fatemi prima fare qualche considerazione sul mondo sensoriale dei ratti.

Andiamo con ordine. Dunque, loro chiaramente ci sentono bene.

In teoria dovrebbero avere anche un ottimo olfatto. (Così dicono. In realtà mi è capitato di depositare dentro la loro gabbia una ciotolina di odorosissimo omogeneizzato e vederli partire come dei missili a cercare l'omogeneizzato fuori dalla gabbia).

A tatto ci siamo. Pepper ti scaccia a calci quando gli accarezzi la schiena, anche se non sta guardando di qua. E poi, con le loro manine manipolano - oggetti come cucchiaini, Cheerios, pezzettini di filo e via dicendo - con una destrezza praticamente umana.

Sulla vista invece sono notoriamente scarsi. Non è che siano ciechi; per esempio, si direbbe che ti guardino negli occhi se gli parli; e se dai uno snack a uno dei due, e sei a portata di vista dell'altro, quello viene subito a pretendere la sua parte. Però è notorio che ci vedono maluccio (da qualche parte ho letto che se fossero umani sarebbero "legalmente ciechi", cioè a dire non proprio ciechi ma quasi), specialmente quelli con gli occhi rossi; da cui l'ondeggiare della testa che a volta preoccupa i padroni inesperti, che temono un problema neurologico, mentre è un modo per mettere a fuoco sfruttando la parallasse (cioè, dico, la parallasse: mica pizza e fichi. Alzi la mano chi sa cos'è la parallasse).

Comunque, ecco, poi c'è presumibilmente un qualche altro senso che a noi sfugge. Questo altro senso ci deve essere, per esempio, per spiegare il rapporto dei ratti con la televisione. Che è pressoché nullo.

Il mistero, cioè, consiste in questo: se accartocci un foglio troppo bruscamente, o alzi troppo la voce, loro si spaventano e li vedi correre a casa (poi gli passa subito: ma si spaventano). Ma se in televisione Freddy Krueger lancia un urlo agghiacciante e fa saltare col tritolo uno scuolabus mentre la polizia lo crivella di colpi, Pepper se ne sta tranquillo a fare quello che sta facendo, tipo infilarsi le dita nei piedi nelle orecchie, e non gira nemmeno la testa. Come si spiega?

Addirittura capita che in televisione ci siano gatti o cani o rapaci che si muovono, miagolano, abbaiano, stridono e si lanciano in picchiata. Sono cose che dovrebbero fare paura ai ratti, sia visivamente che uditivamente. Ma niente. Poi passa una rondine vicino alla finestra, senza nemmeno garrire, e loro scappano in casa. Io non ho mai sentito che i ratti abbiano, per dire, una forma di radar, ma i pipistrelli sono loro simili e ce l'hanno. Forse ma forse?

Amici scienziati, smettete di poltrire e datevi un po' da fare, per favore.
Io le dritte ve le ho date!

sabato 9 giugno 2012

Bonding, James Bonding

Torniamo dunque al bonding, che era la nostra missione, visto che non era piacevole passare ore a guardarli chiusi in casa e farsi mordere in continuazione. Il Free Dictionary definisce bonding come:

a) il formarsi di una relazione umana intima, come fra amici; b) l'attaccamento emotivo e fisico che avviene fra un genitore o una figura genitoriale, specialmente una madre, e la prole, che inizia solitamente alla nascita e costituisce la base per la successiva affiliazione emotiva.

I siti di rattofili tendono a usare molto questo termine, e a preferirlo ad altri che sarebbero decisamente più banalizzanti, come addomesticazione. E ti spiegano le tecniche di bonding.

Una cosa che i siti anche fanno è dire che per il bonding ci vuole pazienza, e fanno bene a dirlo. Di sicuro ci vuole pazienza. La cosa però e filosoficamente articolata. In realtà, in un certo senso ci è voluto poco per ottenere risultati - poco in senso strettamente cronologico. In senso psicologico però la cosa è diversa, e i miei ricordi si perdono in un nebuloso guazzabuglio di difficile ricostruzione, sporadici e inaspettati momenti di coccolamento, sonni tormentati, frustrazione, qualche vaff detto con convinzione contro il muso indisponente di un trottolino ribelle, progressi e regressi. Ci sono diverse spiegazioni di questa percezione confusa del processo di bonding da parte degli esseri umani che lo mettono in atto.

Il primo elemento è che dal giorno in cui i tuoi nuovi rattini entrano nella tua vita, il tempo subisce una paurosa accelerazione. I giorni sembrano tanto pieni di cose da contare come settimane, e le settimane come mesi. Tutto cambia in continuazione. Anche loro cambiano. Nei primi mesi di vita sono in pieno sviluppo, e crescono a un ritmo forsennato - del tipo che li guardi e dici fra te e te, come sono cresciuti dall'ultima volta che li ho visti!, e stiamo parlando del giorno prima o la sera prima. Sembra che di notte qualcuno li gonfi con una pompa per biciclette.

Il secondo elemento è che i loro ritmi di affiatamento sono incommensurabili rispetto ai tuoi. Ci sono tante cose, nel comportamento dei ratti, che hanno una logica riconoscibile. L'evoluzione della fiducia no. Cioè, ti riesce proprio difficile capire come sia possibile che siano così diffidenti con qualcuno che gli porta da mangiare tre volte al giorno, gli pulisce la gabbia, gli riempie i beverini di acqua fresca, spende decine di euro in attrezzature ricreative per la loro gabbia, e coglie ogni possibile occasione per farli giocare. La distanza culturale è tale che per loro nemmeno vale il proverbio non mordere la mano che ti sfama. Perciò per un po' di giorni - che nella realtà alternativa di Ratlandia sono, come si diceva sopra, settimane e mesi - ti capita spesso di pensare che non stai facendo nessun progresso, e che non succederà mai che quei monelli mettano giudizio e mostrino la riconoscenza e l'affetto che meriti.

A rendere tutto ancora più confuso, nel nostro caso c'era anche il fatto che Pepper e Ginger mantenevano una rigorosa alternanza di comportamenti, in modo tale che fosse impossibile stabilire quale dei due era il più mansueto o il più affettuoso. Basti dire che Pepper il mordarolo, colui che ha raccolto il più alto tributo di sangue umano con quei dentini aguzzi, oggi è il più mammone dei due. Oggi. Domani, vediamo.

Perché naturalmente va anche detto, prima di entrare nei dettagli, che il processo di bonding è verosimilmente ancora in corso. Ci sono stati parecchi progressi per entrambi - e adesso crescono molto più lentamente, contribuendo a ridurre il nostro stato di confusione percettiva - ma alcuni sono recentissimi e altri probabilmente ne arriveranno. Qualche settimana fa ho parlato della mordacità di Pepper in un gruppo Facebook, dicendo che si, un po' cattivo lo è, ma che ha fatto tanti progressi e credo che ne farà ancora. All'epoca Pepper era ancora considerato pericoloso, e se lo accarezzavi lo facevi col dorso delle dita, evitando accuratamente di esporre i polpastrelli alle sue ganasce. Praticamente lo stesso giorno in cui ho scritto quel messaggio Pepper è diventato inoffensivo: adesso lo accarezzo con la punta delle dita, e anche quando è nascosto dentro una scatolina o sotto la scaletta e quindi non lo vedo - e stimo che la probabilità di essere morsi sia assolutamente nulla. (Bisogna sempre stare attenti ai morsi che tirano a maglioni e copriletti: se dall'altra parte c'è il tuo dito non si può dare la colpa a loro).

Dovevamo, comunque, scegliere una tecnica di bonding e iniziare a usarla. Come dicevo i miei ricordi sono un po' confusi, e ci sono state due cose diverse che sono accadute, non so bene in che ordine. Una è che io e E. abbiamo iniziato a prendere Ginger in braccio e coccolarla; e che lei ci è stata. Ci sono delle foto che lo dimostrano. Questi ricordi sono particolarmente difficili da interpretare perché oggi lei questo non lo fa più: prenderla la puoi prendere, ma con la consapevolezza che quello che lei farà è sguilla l'anguilla su e giù per le tue spalle, la tua testa, dietro il collo (con quelle belle unghiettine...!) e via dicendo. Stare ferma a farsi accarezzare è impensabile, per lei.

La seconda cosa che abbiamo fatto è stato adottare la tecnica della vasca da bagno. Cioè buttiamoli fuori a forza di casa dentro la vasca da bagno insieme a noi. (Ovviamente si parla di vasca da bagno vuota).

Bene, posso confermare che questa tecnica funziona: non trasformerà due demoni assatanati in due agnellini di peluche, ma di progressi, in quella vasca da bagno, ne abbiamo fatti tanti.

Facevamo a turno, una sera io, una sera E.; uno cambiava la gabbia, l'altro se ne stava sdraiato nella vasca da bagno per un'oretta insieme ai rattini privati della loro casina, e quindi costretti a scegliere fra starsene in un'angolino completamente allo scoperto, o farsi una passeggiata, e quindi finire prima o poi per scalare una gamba, un braccio, o una pancia umana. Messi alle strette in questo modo, hanno scelto la seconda opzione. Loro odiano stare fermi in un posto senza riparo.

Tanto lo odiano, che tirarli fuori dalla casina voleva dire questo: scoperchiarla (la casina in questione era uno dei cubetti Ferplast per criceti) e rovesciarla per farli cadere fuori. Sembra brutale. A maggior ragione se si considera che piuttosto che uscire dal loro rassicurante cubetto, i due si puntellavano alle pareti con tutte e quattro le zampe, come quando nei film un Bruce Willis si trova in un'ascensore senza pavimento. Per cui non bastava mica rovesciare il cubetto. Bisognava anche scuoterlo.

Chi dice che tirarli fuori di casa a forza non va mai fatto perché li traumatizza irreparabilmente, secondo me, si sbaglia. Noi li abbiamo addirittura shakerati fuori, e tutto sommato non sembra che se ne ricordino.

Insomma, eiettati dal cubetto, Pepper e Ginger si trovavano a girare in quello strano paese tutto bianco e odorosino di detergenti. Questa è stata un po' una nostra preoccupazione, se i residui di shampi e saponi e disinfettanti nella vasca gli avrebbero dato fastidio: e bisogna dire che, se non ricordo male, un po' starnutivano. Ma è difficile dire se si trattava di new home sneezing - pare che i ratti starnutiscano sempre un po' negli ambienti nuovi, è una specie di reset del sistema olfattivo - o della Myco che stava arrivando (si, perché i nostri rattini erano probabilmente già un po' malati, come spiegherò meglio dopo).

Comunque giravano e giravano e giravano, e a un certo punto iniziammo a smettere anche di aspettare che ci salissero addosso e iniziammo a prenderli di peso e metterceli in braccio.

[continua]

martedì 29 maggio 2012

Intermezzo: secondo volo di Pepper e topini randagi

29 maggio, ore 9, terremoto forte, si è sentito bene anche qui nel milanese.

Al telefono con E. chiedo: i bambini sono usciti dallo Sputnik?

I miei colleghi mi guardano un po' strano. In effetti, a ripensarci, non è una frase che si sente tutti i giorni.

(Lo Sputnik, per inciso, è un modello di cuccia sospesa. L'altra volta non si era capito bene se il terremoto lo avevano sentito o no: oggi pare proprio di si. E si, sono usciti dallo Sputnik: saggezza dell'istinto. Erano agitatini. Snack di mela secca per calmarli).

Pepper poi in questi giorni ne ha passate parecchie di esperienze strane. Due o tre giorni fa è caduto dal tavolo, poverino. Ha zoppicato un po' per tutta la serata, poi ha smesso. Il fatto è quando suono fuori dalla gabbia, amano salire sul tetto per fare le piccole vedette lombarde; notoriamente, dalla cima della gabbia si annusa molto meglio. In generale, i ratti sono molto bravi ad arrampicarsi ma un po' meno a scendere; il che vale in modo particolare per Pepper, che essendo un filino sovrappeso ha un rapporto più complesso con la forza di gravità. Insomma: Pepper in fase di discesa dal tetto, gabbia troppo vicina al bordo del tavolo (colpa mia), discesa che si conclude come sempre con un ruzzolamento... il ruzzolamento è finito qualche centimetro troppo in là. Punf! (Non è per dire: pare che abbia fatto proprio un bel punf! sonoro, toccando terra).

E. si è subito chinata a soccorrerlo: lui, finito per la prima volta nella terra straniera della Pianura di Piastrelle in Cotto, era tutto schiacciato (non per la caduta: sarebbe il suo modo di "farsi invisibile" - anche se un rattolo cicciottosso di quattro etti e mezzo che striscia pancia a terra come uno SWAT proprio proprio invisibile non è) e ha fatto anche un po' di pipì da spavento. Comunque, appena ha visto E. le è praticamente saltato in braccio.

Credo che il pericolo che se li lasci liberi in casa rischi di non riuscire più ad acchiapparli sia molto molto teorico.

Il giorno dopo, poi, un altro incidente: sono a letto, punto la mano per sollevarmi e alzarmi, ma sotto la mano c'è Pepper; me ne sono accorto proprio un istante prima di metterci tutto il mio peso, ma un po' di Pascal di pressione se li è sentiti venire addosso. La sua reazione è stata abbastanza strana: non è proprio scappato, è solo rimasto per un po' in disparte, fermo immobile, a guardarmi di sottecchi. Non è che avevi intenzione di schiacciami, vero?

Se mi fosse concesso di imparare a riprodurre un singolo segnale ultrasonico in rattese, penso che sceglierei: scusa, non l'ho fatto apposta! Tornerebbe utile spesso.

In effetti il volo dal tavolo è stato il secondo volo di Pepper: lui è il nostro Evel Knievel, il nostro daredevil, anche se sono sempre incidenti. L'altra volta è successo che E. ha infilato la mano nella gabbia, lui l'ha morsa (eravamo ancora nella fase ribelle), lei ha ritratto la mano istintivamente, lui non ha mollato ed è stato lanciato fuori dalla gabbia insieme al suo tubo in PVC (nel quale, all'epoca, riusciva ad entrare).

Comunque - il terremoto mi ha fatto interrompere il filo della narrazione.

Riprendo nel prossimo post. Intanto un altro anneddoto: nel mondo di E. adesso c'è una nuova categoria di entità, i topini randagi.

Il mangime vecchio lo butto via?
No, diamolo a mia mamma che lo sparge in giardino. Pensiamo anche ai topini randagi.

Le ho fatto notare che i topi che vivono per strada e nei prati non sarebbero "randagi" ma "selvatici".

Però in effetti è solo una questione di punti di vista:

La ASL ha chiuso quel ristorante perché c'era un'infestazione di ratti.
Mio dio che schifo! Non ci andrò mai più.

La ASL ha chiuso q
uel ristorante perché ci andavano a mangiare i ratti randagi.
Vabbé, ma quindi adesso dove andranno a mangiare?

lunedì 21 maggio 2012

I due ratti norvegici più timidi del mondo

Capitolo 5. In cui Pepper e Ginger, arrivati a casa, si dimostrano poco socievoli e lunatici, e in cui ci abituiamo a dormire in mezzo ai turubum turubum e altri rumori.

In tutto questo, tanto erano andate di fretta le cose, che praticamente nessuno sapeva che avevamo intenzione di comprare dei ratti, e noi li avevamo addirittura già comprati.

Ecco cosa ho scritto nella mail con cui comunicavo ai miei genitori dell'arrivo di Pepper e Ginger:

Vi presento... i nostri due nuovi amici Pepper & Ginger. A dispetto delle apparenze (del nome "Ginger") sono due fratellini: di circa 3 mesi. Sono i due ratti norvegici più timidi del mondo, quindi per ora bisogna accontentarsi di foto fatte col supertele in condizioni di semioscurità...
Pepper ha la classica macchiatura "col cappuc
cio": testa nera e corpo bianco con una riga nera quasi continua lungo il dorso e la coda. Ginger è un albino con cappuccio color miele e dorso che definirei più come maculato che come striato. Pepper ha anche un alter-ego, di sera diventa "Bat Rat"; in un microsecondo arriva in cima alla gabbia e si appende che pare un pipistrello (ma a testa in su).

Erano passati due giorni dall'acquisto, e ancora:
  • non avevamo realizzato che Pepper e Ginger non potevano avere 3 mesi;
  • non avevamo realizzato che Ginger era una femmina e non un maschio;
  • non avevamo realizzato che arrampicarsi sulle sbarre è una cosa normale per i ratti e non propriamente un superpotere.

La cosa di "Bat Rat" è venuta fuori di notte. Le notti sono, in effetti, la cosa che ricordo meglio di quei primi giorni. Per fare un quadro della situazione: Pepper e Ginger erano effettivamente timidissimi e impauritissimi. Alla faccia dei video di YouTube con i rattini-peluche che ti dormono nel palmo della mano, loro se ne stavano rintanati in casa tutto il giorno, e non si sognavano minimamente di darci confidenza. Avevamo letto che forzarli a uscire sarebbe stato male e che bisognava aspettare che facessero loro il primo passo. Così prendevamo delicatamente la casina in cui si erano barricati, e altrettanto delicatamente la appoggiavamo da qualche parte, sul tavolo o per terra, e stavamo a guardarli e chiamarli e stuzzicarli col cibo.

Loro se ne stavano alla finestra e ci guardavano, così:

E che uscissero, neanche a parlarne.

Qualche volta anzi, a cercare di tirarli fuori, ci si beccava pure un bel morso. Della serie questo i video di YouTube non ce lo avevano mai detto. Certo, erano dentini minuscoli che era come essere morsi da due stuzzicadenti. Però l'intenzione c'era.

Così per un paio di giorni abbiamo aspettato e aspettato e aspettato che uscissero. E aspettato e aspettato e aspettato.

Dicevo dunque che più che i primi giorni mi sono rimaste impresse le prime notti, perché succedeva che non essendo noi ancora molto sicuri di come i due si sarebbero comportati, e per esempio in particolare che non si pestassero o si facessero male, abbiamo preso l'abitudine, di notte, di tenerli sì in un'altra stanza, ma una stanza molto vicina a noi, lo studio - e con tutte le porte aperte. E così abbiamo cominciato a conoscere tutti gli innumerevoli rumori che sono in grado di produrre nel buio totale. Crit crit, sgrat sgrat, squit squit, turubum turubum, e via dicendo. Una sinfonia di rumorini. E quando i rumori diventavano talmente BURUBUM BURUBUM da farti alzare di corsa con l'idea che stessero sfondando le pareti della gabbia come due novelli Hulk, quando arrivavi di là e accendevi la luce, loro - che fino a un secondo prima avevano fatto il terremoto - erano lì immobili che ti guardavano come a dire "noi assolutamente non stavamo facendo niente".

Molti dei loro rumori notturni rimarranno sempre un mistero (a meno di non installare una webcam a infrarossi).

Ora, il punto della cosa è che tutti questi sgrat sgrat squit squit turubum turubum e via dicendo, fatti da due monelli che palesemente non vogliono avere niente a che fare con te e ti mordono se provi a prenderli nella gabbia, danno l'idea di qualcosa di molto fastidioso. Ogni tanto ho chiesto a E. se voleva che chiudessi la porta, per esempio se lei aveva lavorato fino a tardi e aveva proprio bisogno di dormire. Ma lo chiedevo a malincuore e lei non aveva dubbi nel rispondere di no. Perché questi sgrat sgrat squit squit turubum turubum, pur nella loro misteriosità e molestia, ci dicevano che Ginger e Pepper c'erano, erano di , e che stavano abbastanza bene da sconquassare la gabbia con le loro misteriose acrobazie; erano rassicuranti, e per noi erano diventati da subito una specie di ninna nanna. Non è proprio che conciliassero il sonno, questo no: ma rendevano incredibilmente piacevole restare svegli quei dieci, venti, trenta (quaranta, cinquanta, ...) minuti extra. In un certo senso era come accudirli - e non si poteva nemmeno venire morsi.

In realtà avremmo fatto più fatica ad addormentarci senza tutti quei rumorini: ci sarebbero mancati.

E tutto questo bisogno di proteggerli, ce lo avevano tirato fuori dopo due giorni; e due giorni - ribadisco - di convivenza difficilissima con i due ratti norvegici più timidi del mondo - e i più ribelli, e i più ingrati e avari di soddisfazioni per i loro poveri genitori adottivi. (Figurati se fossero stati due pacioccosi dumbo da allevamento.)

E fu anche in una di queste notti che venne fuori la questione di Rat Bat, che se non altro servì a svelare l'origine di almeno uno dei misteriosi rumori notturni che ci allietavano le mezzore insonni: il TRATATATATATATATATATAM. Svegliato (o strappato al dormiveglia) da uno di questi TRATATATATATATATATATAM e accorso nello studio, mi accorgo che manca Pepper. Lo cerco in ogni dove. Poi quasi mi fa venire un colpo quando alzo lo sguardo e lo vedo - per la prima volta - appeso in cima alla gabbia come un pipistrello. Cioè, non era a testa in giù: ma essendo un ratto ed essendo appeso c'erano abbastanza elementi per l'analogia.



Pepper mi guarda per un po'. E poi, TRATATATATATATATATATAM, TRATATATATATATATATATAM, corre lungo le pareti verticali della gabbia, per andare poi - probabilmente, credo - a rifugiarsi in casa.

Ah, quindi, questo è il rumore di un ratto che corre su una parete verticale di maglie di metallo.

Così di notte, e di giorno rimanevano delle pesti. Contattavo E. su Skype per avere notizie e le notizie erano sempre pessime: è tutto il giorno che sono in casa, non li ho nemmeno visti, Pepper mi ha morso, e via dicendo.

Certamente ci rendevamo conto che P&G venivano da quei fatidici "tre mesi" (o venti giorni: nel frattempo stavamo iniziando a capire) nel negozio che certamente per loro facili non erano stati. E infatti non è che ce l'avessimo con loro. Ma io leggevo degli allevamenti dei rattari dove crescono i rattini carini e fin dai primi giorni li abituano al contatto con le persone, sentivo E. sempre più depressa dal comportamento dei nostri disgraziati monelli, e quindi poi venne fuori anche il discorso del Parco Agricolo Sud Milano, in un momento di stanchezza. Colgo l'occasione per precisare che non credo che lo avrei mai fatto. Ma la situazione sembrava veramente disperata.

Certe volte E. glielo ricorda, a Pepper: ma lo sai che il papà voleva abbandonarti nel Parco Agricolo Sud Milano? E io colgo l'occasione per ricordare a Pepper che non è ancora detta l'ultima parola, in merito. Ma Pepper, bisogna dire, non ce l'ha con me per questo. Specialmente se mentre ci ascolta ricordargli questo episodio, è spapanzato nel suo Sputnik con una gamba all'aria e un Cheerio's nelle manine in fase di sgranocchiamento quasi completato (cioè un decimo di secondo dopo che me l'ha strappato di mano).

Come è andata, quindi? (Questo è un cliffhanger: la risposta al prossimo post).

Il lungo viaggio di Pepper e Ginger

Capitolo 4. In cui incontriamo il primo archetipo junghiano della storia, che rimane molto stupito; e Ginger e Pepper fanno il loro primo viaggio in macchina.

Ora, Pepper e Ginger erano dunque fermati; la mattina di domenica, non ci restava che allestire la gabbia e partire per andare a prenderli.

Naturalmente nel reparto zoo del negozio non c'è nessuno, ci tocca andare su e giù per cercare un omino, e alla fine, su indicazione di un sudamericano addetto alle pulizie, ne troviamo uno; al quale non risulta che ci siano ratti "messi da parte", e deve consultarsi con un altro, giusto per contribuire al nostro stato di strana fibrillazione. Alla fine viene reperito un omino che sa dove andare a guardare e trova Pepper e Ginger.

Quest'ultimo omino merita una nota, perché è il primo personaggio narrativamente pregnante della storia. Vicino alla pensione, dinoccolato, e sparagiudizi, costui è il nostro primo Gandalf, l'incarnazione del vecchio saggio della letteratura. Anche se è un vecchio saggio un po' raffazzonato.

Tanto per cominciare chiediamo anche a lui una conferma dei sessi, per sicurezza; lui prende Pepper (per la coda, tanto per cambiare): maschio. Poi Ginger, sempre per la coda: femmina.

Come femmina?

L'omino percepisce il nostro sussulto al sentire che Ginger sarebbe una femmina, e ricontrolla, per qualche motivo ripartendo da Pepper. Nuova bella tirata di coda. Dunque: maschio. E poi Ginger: maschio. I nostri volti esprimono sollievo, e quindi lui conferma: si si, maschio.

Ora siamo tranquilli!

Il nostro dinoccolato Gandalf è pronto: ok, allora ve li impacchetto.

Noi però non vogliamo farci impacchettare Ginger e Pepper, qualunque cosa significhi, e lo fermiamo avvisandolo che compreremo un trasportino e li porteremo via così.

Sul volto di Gandalf improvvisamente si dipinge autentico stupore. Scusate se ve lo chiedo, si azzarda, ma li state comprando per tenerli come animali da compagnia?

Eh si, certo.

Wow. Il vecchietto è galvanizzato. A quanto pare, è la seconda volta, nella storia del negozio, che qualcuno compra dei ratti per tenerli. (Questo dovrebbe suggerirci che abbiamo fatto una cavolata a comprarli qui, ma non ci facciamo caso). Tutti gli altri li comprano, si, insomma, per un altro motivo. Io sono talmente ingenuo e impreparato al riguardo che per un po' non capisco nemmeno di cosa sta parlando; ovviamente sta parlando di ratti da pasto per serpenti. Gandalf fa questo di mestiere ma, a quanto pare, odia la cosa quanto noi, ed è sollevato che una volta tanto non gli tocchi di prendere parte a questa crudeltà. L'altra volta era una coppia di dark, tutti pieni di piercing e tatuaggi.

Mmmmh.

Allora il vecchio saggio si lancia a sgranare tutte le sue conoscenze in fatto di ratti: commenta che la nostra è un'ottima scelta, che sono animali veramente intelligenti; e alla nostra domanda se consiglia di portarli subito dal veterinario per una visita di controllo risponde che questi sono animali che se si ammalano è perché qualcuno gli inietta qualche virus, insomma ci manca poco e scopriremo che il dinoccolato inserviente del garden center è un animalista del PETA. Poi ci consiglia di comprare del cotone per il nido. Per concludere, gli chiediamo tutolo non aromatizzato (perché nel frattempo abbiamo già appreso su Internet che l'aroma al limone non si addice alle narici sensibili dei nostri nuovi compagni), e anche qui il vecchio saggio coglie l'occasione per lanciare una frecciatina a quelli che hanno la puzza sotto il naso (per colpa dei quali, si legge sottotraccia, esiste quello stupido tutolo al limone che ci ha abbindolato). Un tizio veramente pretenzioso.

Insomma, a essere sinceri la maggior parte di quello che Gandalf ci ha detto sono un po' castronerie - in effetti è consigliabile portare i propri ratti subito dal veterinario, specie se vengono da un ambientino come questi meganegozi di botanica - per esempio per un bell'esame delle feci; del cotone non se ne fanno niente e c'è il rischio che ci si strozzino; e ammalarsi si ammalano eccome, anche senza iniezioni di virus. Per non parlare del prenderli per la coda e del sexing. D'altra parte è così, Pepper e Ginger vengono al mondo come derelitti e reietti, sono ratti da pasto, loro, non sono Hobbit; e il vecchio saggio della loro storia è in proporzione, non un rassicurante Gandalf il Grigio, è solo un traballante signore buono ma sconclusionato. Ma la storia di Pepper e Ginger, si spera, è una storia di ascesa e redenzione, come quella di Cenerentola.

Intanto che siamo lì a prenderli, ci casca l'occhio sulla teca dove ieri c'era la mamma di Ginger e Pepper. Sparita, nella notte.

Così Pepper e Ginger cominciano il loro viaggio in un trasportino accompagnati solo da una manciata di tutolo (non aromatizzato) passando attraverso una cassa, sul nastro traportatore come nani da giardino, e poi finalmente in macchina. Siamo a febbraio e i due nuovi arrivati cominciano a catalizzare preoccupazioni: prenderanno freddo? Si spaventeranno per il rumore del motore e gli scossoni della strada? Si sentiranno costretti nel trasportino? (In cui per ora, in realtà, navigano).

Si, perché non li abbiamo ancora descritti: anche se destinati geneticamente a diventare panteganoni di grossa taglia come la loro mamma, P&G sono attualmente due batuffolini di pelo, saranno una decina di centimetri tolta la coda, magrini e spauriti; si guardano in giro con occhioni rispettivamente neri e rossi, entrambi a punta di spillo; e altrettanto one sono le orecchie, in proporzione a quei corpicini minuti, specie se le tengono alzate come parabole radar per cercare di capire qualcosa delle tante stranezze che stanno capitando intorno a loro. E poi annusano, annusano, annusano con i nasini rosa all'insù e i baffetti che mulinano; e per l'emozione, anche - bisogna dirlo - si sbizzarriscono in bisognini solidi e liquidi.

Sperimentano la Kuga, l'asfalto sconnesso, l'aria fredda e tagliente di febbraio e poi quella riscaldata dell'abitacolo della macchina, il rumore del motore; e poi nei box la puzza di gas di scarico e il frastuono della portona di metallo, poi ancora il freddo, e poi l'ascensore con il suo "dling, dlong!" da Rinascente e la puzza del deodorante per ambienti appena installato dall'impresa delle pulizie. Ma per tutto questo tempo sperimentano anche la voce della loro nuova mamma umana, E., che per rassicurarli - come nei migliori manuali - passa tutto il tempo a sussurrargli cosine carine, e pure quella del loro nuovo papà umano, quando la guida lo consente - e quindi non sempre, perché il tragitto lo faccio guidando con una cautela che farebbe pensare, a un osservatore ignaro dei fatti, che stia trasportando un carico di nitroglicerina nel bagagliaio.

Insomma sperimentano tutte queste cose, e dopo il secondo "dling, dlong!" dell'ascensore e lo stunc stunc stunc della chiave che gira nella toppa della porta blindata (che al mercato mio padre comprò) alla fine sperimentano il tepore e l'odore di un posto nuovo, e la mamma che li accompagna alla porticina della loro gabbia nuova fiammante e superaccessoriata - almeno superaccessoriata in confronto alla teca spoglia e illuminata da faretti da sala operatoria in cui erano ammassati nel negozio.

E con tutte le emozioni che hanno provato, è magico vederli subito correre su e giù nel loro nuovo ambiente, annusare in giro, e stabilirsi a colpo sicuro in una delle due casine che abbiamo destinato loro - per adesso - i due cubetti da criceti Ferplast, uno arancione con le finestre azzurre e uno azzurro con le finestre arancioni.

Siamo finalmente tutti a casa!

sabato 19 maggio 2012

Il ratto è tratto

Capitolo 3, in cui si narra come io e E. arrivammo alla decisione di acquistare due ratti, dove li acquistammo, e del superscienziato che fece sexing. La mamma di Pepper e Ginger.

Cominciamo col dire che il nostro è stato un acquisto sbagliato. Ci sono tantissimi motivi per non acquistare ratti dai garden center tipo il Viridea, Toppy, e consimili. Alcuni sono motivi di opportunità, altri etici. Se volete comprare dei ratti, non fate come noi: potete rivolgervi agli allevatori o alle organizzazioni animaliste e potete adottarli anziché comprarli. Cercate su Internet.

Questo comunque lo dico col senno del poi: il nostro percorso è stato in qualche modo obbligato dalle circostanze e favorito dalla nostra ignoranza in materia.

Dunque. E. ha una storica passione per i roditori di ogni genere. Ha avuto diversi topolini e almeno un criceto. Nel nostro ultimo viaggio fai-da-te in Tanzania le ho organizzato una cosa che nessun tour operator fa, una visita all'Università di Sokoine a Morogoro dove vengono addestrati i cosidetti "ratti" (in realtà: cricetoni giganti) anti-mina HeroRats: penso di non averle mai fatto un regalo più indimenticabile.

Il fatto è che poi questi animaletti muoiono (molto presto, sfortunatamente) e aveva più o meno deciso di non voler passare di nuovo da quel trauma, o almeno stava rimandando. Nel gennaio del 2012 sua cugina, a corto di idee per un regalo di compleanno, ha iniziato a tampinare E. affinché si facesse regalare un criceto. E. non era convinta, ma ogni tanto acconsentiva a fare un giro in qualche negozio di animali per dare un'occhiata.

Così, un giorno, loro sono in giro a dare un'occhiata, e io sono a casa. Ricevo una telefonata di E. A quanto pare in un negozio ha visto dei ratti, l'etichetta dice "ratti di media taglia", quindi non sono di quelli proprio grandi grandi. Il fatto è che nella teca c'è un rattino col cappuccio nero e il corpo bianco che, mentre tutti i suoi compagni dormono disordinatamente accatastati in un angolino, va avanti e indietro come un matto, appoggia il nasino al vetro per guardare E. e sua cugina da vicino, e "si vuole proprio far prendere".

Quel rattino è Pepper che sta esercitando la sua arte di seduttore.

Il rattino esagitato, pare, ha anche un fratellino, uguale a lui ma col cappuccio color miele anziché nero. Ma non si era parlato di prendere un animaletto? Qui si parla di due. Insomma, conveniamo di pensarci su.

Inoltre non si era mai parlato di ratti. Non che abbiamo qualcosa contro i ratti, anzi. Ma non siamo molto informati sull'argomento.

La sera parte la ricerca su Internet. Fra le cose che fortunatamente scopriamo subito, su Internet, c'è il fatto che uno non dovrebbe mai comprare un ratto. I ratti vanno almeno a coppie, perché sono animali sociali e un ratto solo è un ratto depresso. Raccogliamo altre informazioni, tipo che genere di gabbia ci vorrebbe eccetera.

Una delle cose che non scopriamo è che non esiste una cosa come un ratto di media taglia; i ratti sono ratti, e sono tutti uguali. Il cartellino "di media taglia" non indica una qualche fantomatica specie di ratto mignon, ma è un'indicazione per chi compra i ratti come cibo per serpenti: i ratti di medie dimensioni sono semplicemente ratti giovani (che poi, se sfuggono alla loro sorte di vittime sacrificali, diventeranno grandi come tutti gli altri).

E poi, galeotto fu YouTube. La serata si conclude con una antologia di video, e qui si suggella il nostro destino. Dopo aver visto un ratto neonato che dorme nel palmo della mano panza all'aria, un altro che si fa il bagno strofinandosi con acqua e sapone, e un altro che ruba un panino, comincio ad avere l'idea che il dado sia tratto.

Che ratti saranno.

A questo punto devo capire quanto E. sia rimasta effettivamente colpita da quel particolare ratto che ha visto nel pomeriggio. Lei fa abbastanza la vaga, ci pensiamo, vediamo. Così faccio un esperimento alla Lightman Group. Il giorno dopo mio fratello deve venire a pranzo da noi, ed E. sarà impegnata a cucinare, quindi butto lì: teoricamente io potrei anche andare domani mattina al negozio a fermare quei due rattini che hai visto.

E. continua coi suoi ci pensiamo, vediamo. Ma quando è il momento di puntare la sveglia, finiamo ovviamente per puntarla alle 7:30, in modo da avere il tempo di correre al negozio all'orario di apertura, fermare i due rattini, e poi tornare a casa a preparare il pranzo.

Il nostro destino, e quello di Pepper e Ginger, si sta compiendo.

Quindi il giorno dopo partiamo all'alba. Al primo semaforo stiamo già parlando di nomi. E. mi chiede se ho qualche ipotesi; casualmente io mi sono alzato alle 6:30 per avere un'ora di tempo per fare una ricerca in proposito: ho cercato nomi di ratti dai libri di Beatrix Potter (che, per inciso, aveva anche lei un ratto domestico - uno solo, poverino: Beatrix non conosceva i forum di rattofili). Insomma trovo Ginger e Mr. Sprinkles, in realtà non sono ratti ma gatti, ma i nomi mi piacciono. Sfoderata quindi la mia proposta al primo semaforo, E. osserva che "Mr. Sprinkles" è un po' complesso: ma Ginger, zenzero, le piace. Un altro nome di spezia?

Pepper?

Pepper. Ginger e Pepper.

Noi in effetti speriamo che i due rattini siano maschi, e Ginger in effetti suona un po' un nome da femmina, ma pazienza.

Siamo i primi ad entrare appena il negozio apre: di corsa al reparto "zoo", e alla teca dei ratti di medie dimensioni. Di fianco c'è la teca dei ratti di grandi dimensioni, dove c'è un unico rattone bianco solo. E loro ci sono? Eccoli. Uno e uno due. Ginger e Pepper.

Ovviamente bisogna prima dirimere la questione del sesso: l'unica cosa certa è che non vogliamo una coppia di maschio e femmina, più che altro perché non vogliamo un centinaio di cuccioli all'anno da piazzare. Chiamiamo il superscienziato che lavora nel reparto "zoo", e lui ci dà un'occhiata, ovviamente prendendoli per la coda (per la coda! - già questo dà l'idea della sua superscienza in fatto di ratti). A lui basta un'occhiata, perché è un superscienziato: maschio... e maschio. Il "sexing" dei ratti (la determinazione del sesso) teoricamente è molto complicato, meno male che abbiamo trovato un cotale professorone che ci ha tolto dall'imbarazzo in un secondo.

Al superscienziato chiediamo anche l'età di Ginger e Pepper, e in modo altrettanto affidabile ci dice che sono appena svezzati: devono avere circa 2-3 mesi. Il che è assurdo: a 3 mesi i ratti possono avere già una discendenza anche abbastanza copiosa, altro che appena svezzati.

Comunque, a posteriori, l'affermazione giusta fra le due era la prima. Ginger e Pepper dovevano essere davvero appena svezzati (cioè avere una ventina di giorni).

L'omino conclude dando l'unica informazione utile della giornata: quella lì è la loro madre, quel rattone grande e grosso, triste, stanco e solo che sta sdraiato nella teca a fianco, quella dei ratti di grandi dimensioni. Questo, da una parte, vuol dire che ora abbiamo la certezza che Ginger e Pepper diventeranno altrettanto grandi - il che, pare, non ci fa nessun effetto. Dall'altra, quella è l'unica occasione che avremo per vedere la mamma di Pepper e Ginger, la "madre biologica". Direi che lì per lì ci siamo accorti e non ci siamo accorti, dell'importanza della cosa. A posteriori, sono contento di aver visto, anche solo per una manciata di secondi, quella ratta un po' triste. E' difficile dire perché. Ma era giusto vederla. Quei pochi secondi sono il nostro unico legame con la storia di Ginger e Pepper, che, comunque, non sono giocattoli, sono vita; ed erano famiglia, per quanto una famiglia devastata e dispersa. Una famiglia in qualche modo intrecciata con la nostra.

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Nel tardo pomeriggio è tutto un macinare chilometri nell'hinterland milanese alla ricerca di una gabbia adatta, mangimi adatti, accessori, e via dicendo. Stranamente scopriamo che nessuno ha le idee molto chiare su come debba essere fatta una gabbia per ratti. Per fortuna c'è Internet. Alla fine rientriamo con una gabbia per scoiattoli della Imac: non è meravigliosa e col tempo scopriremo che sono necessarie numerose modifiche, ma sta facendo tuttora il suo dovere, in attesa di essere sostituita con un più rattofila gabbiona gigante tipo Perfect. E quasi senza accorgercene abbiamo anche comprato due cubi colorati Ferplast con relativo tubo di collegamento, una ciotolina rossa per il cibo, un beverino Ferplast, una amaca in pile lanoso, un sacco di cibo Rat Nature della Versele-Laga (incredibilmente trovato), due sacchettini di crocchette rispettivamente al formaggio e ai frutti di bosco sempre Versele-Laga, una vaschetta per i bisogni (destinata a non essere mai usata a questo scopo), una confezione di "panini al formaggio" Toasties Prestige, una confezione di biscotti alle noci e formaggio Versele-Laga Happy Life, e un sacchetto di tutolo aromatizzato al limone (che avremmo poi scartato perché le lettiere aromatizzate non sono molto adatte ai ratti e al loro olfatto supersensibile).

In tutto un po' più di cento euro, se ricordo bene. (Pepper e Ginger costavano sui 5 euro l'uno).

Quindi... siamo pronti?
Allacciate le cinture?
Inspirato a fondo?
Ok, allora...

venerdì 18 maggio 2012

Anzi, no: due parole sul norvegese

Prima di parlare di noi, in effetti, penso vadano dette due parole per spiegare cos'è un ratto da compagnia.

Sull'argomento si trova molto materiale su Internet, inclusa una voce sulla Wikipedia in lingua italiana, Ratto da compagnia, talentuosamente scritta da un talentuoso redattore; ma vorrei dire qualcosa anche io.

I ratti che si comprano nei negozi di animali sono tutti della specie Rattus norvegicus, che è come dire il ratto comune, quello che abita luoghi cult come le fogne di Parigi, le metropolitane di New York, e il Parco Agricolo Sud Milano. Praticamente è il ratto per antonomasia, il secondo animale di maggior successo della Terra dopo l'uomo, in quanto a diffusione geografica. I ratti norvegesi sono ovunque (tranne che in Alberta - almeno secondo il Dipartimento dello Sterminio dei Ratti dell'Alberta).

Naturalmente, non c'è nessuna particolare relazione fra il ratto norvegese e la Norvegia: il nome è un retaggio storico, come per l'insalata russa. In ogni caso, conoscere il nome scientifico è sempre utile.

"Cosaaa? Tieni dei ratti?"
"Si, ratti norvegesi."
"Aaah ok... quelli norvegesi!"

Il negozio Destruction des animaux nuisibles in Rue des Halles, quello che appare in Ratatouille: "Guarda bene, Remy. Questo è quello che succede quando un ratto si sente troppo a proprio agio vicino agli umani". Lo sterminio di ratti norvegesi a Parigi, pare, non ha causato nessun incidente diplomatico

Esistono anche altre specie di ratti oltre a quelli norvegesi, tra cui il famigerato Rattus rattus di bubbonica memoria, ma l'esuberanza del norvegese (più grosso e più forte) ha costretto gli altri a rintanarsi in nicchie ecologiche minori, come il frigorifero di una signora in Cornovaglia.

Può sembrare un po' strano che quei cosini tenerini che nei pet shop ci guardano con gli occhioni stralunati attraverso il plexiglass siano proprio lo stesso animale delle belve feroci che si aggirano irrequiete e fameliche nel sottosuolo, ma è così.

Va bene, qualche piccola differenza estetica c'è. Riguarda più che altro il colore del pelo: i ratti da compagnia, a differenza di quelli selvatici, non sono sempre grigio topo. I rattari di tutto il mondo si applicano mendellianamente per tirar fuori improbabili cuccioli color miele con guantini bianchi, o con deliziose macchiette a maschera di Zorro intorno agli occhi, e via dicendo. Ma ci sono anche fancy rat (cioè ratti da compagnia) che sono comunque grigio topo. La morale è che se si prende un ratto delle fogne, gli si dà una bella strigliata, lo si obbliga a una rigida dieta a base di Cheerio's e croccantini al formaggio, e gli si concedono interminabili pisolini pomeridiani, in men che non si dica sarà indistinguibile da un Mister Sprinkles, un Bartleby o un Pallino.

Quindi si, mettersi in casa un ratto vuol dire proprio mettersi in casa uno di quegli animali lì, non la riduzione per bambini. Perciò sorge spontanea la domanda: perché uno dovrebbe fare una cosa del genere, anziché accontentarsi di un banalissimo criceto?

(P.S.: Io certe volte me ne accorgo, che Pepper è sotto sotto una pantegana: per esempio quando guardo la sua ombra sul muro).

Signor Pepper, è stato insinuato che siano stati necessari pesanti ritocchi in Photoshop per dare questo aspetto inquietante a un tontolone cicciottoso come lei. Ha qualche dichiarazione in merito?

Ci sono vari motivi per preferire un ratto a un criceto, per come la vedo io, anche senza considerare che i criceti sono delle macchine da guerra sanguinarie. Principalmente tutti i motivi ruotano attorno al tema dell'intelligenza - meritatamente proverbiale (anche se su due piedi mi sfugge il corrispondente proverbio) - del norvegicus. Che è di vari tipi; non c'è solo l'intelligenza pratica a cui si pensa di solito (e di cui si dubita in alcuni casi, vedendo certe iniziative tipo "adesso prendo questo raccoglitore ad anelli formato A4 e lo vado a mettere dentro quel portamatite") ma anche relazionale ed emotiva.

Non è che siano dei fini psicologi o cosa, dopo tutto. Il punto è che sono seriamente interessati a capire come interagire con te nel migliore dei modi; dove migliore vuol dire anche, certo, "in modo da ottenere un rifornimento costante di bocconcini prelibati"; ma anche "in modo da sentirsi protetti e fra amici", o qualcosa del genere.

La lista dei complimenti che ho sentito fare ai ratti e alla loro intelligenza da parte di chi ci ha avuto a che fare è interminabile. Si dice spesso che sono molto simili ai cani - o una via di mezzo fra cani e gatti; li ho sentiti definire "folletti"; ho sentito dire che sono i migliori animali da compagnia che esistano; ho sentito dire (spesso) che una volta che hai condiviso un po' della tua vita con dei ratti, poi non puoi più farne a meno. Affermazione particolarmente credibile da parte di chi, alla domanda "quanti ratti hai avuto", ti risponde per esempio, novantasei. O centonovantasei.

In effetti, gran parte dei rattofili viaggia su queste cifre da capogiro, ha una vasta collezione di gabbie (incluse diverse in formato armadio a tre ante), e passa le giornate su Facebook allo scopo di elargire consigli ai neofiti (e che il cielo li abbia in gloria per questo).

Chi li conosce va pazzo per i ratti. Mai sentito un'opinione diversa. Non ho mai letto da nessuna parte una frase del tipo: avevo dei ratti, ma non mi davano molte soddisfazioni. Ora sono passato ai criceti. E dire che su Internet si trova di tutto, anche la domanda:

Se mio padre e mia madre fossero fratelli, io sarei mio cugino? Se si, di che grado?